La bancarella dei ricordi

Il chiasso di Porta Portese, il lungo serpentone di bancarelle di ogni tipo, ognuna con i suoi profumi e i suoi colori, si dissolve ogni domenica pomeriggio tra le manovre dei camion dei rifiuti e il rumore delle bottigliette di vetro vuote che rotolano a ogni ramazzata degli spazzini.
Nell’aria, però, sento ancora l’odore delle frittelle e dei dolci. Distinguo quello evocato dalla memoria. Croccanti di mandorle e miele.
Ne eravamo ghiotte e i primi guadagni erano destinati al loro acquisto.

Eravamo tre liceali: una con i capelli rossi a caschetto, un’altra con le trecce bionde e io, con una montagna di ricci castani.
Ci eravamo organizzate con una bancarella messa abilmente su in quattro e quattr’otto per essere smontata con la stessa rapidità nel caso si fosse avvicinata una guardia. Già, perché la nostra era una bancarella abusiva.
Eravamo state accettate con simpatia dai vicini mercanti che non lesinavano dimostrazioni di gentilezza e premura. I commercianti erano la chioccia e noi tre i pulcini da tenere in caldo e proteggere.
Ogni domenica mattina, arrivavamo con calma, quando ormai il mercato era in piena attività, e ci collocavamo sempre nel solito spazio centrale lasciato libero e difeso dai nostri vicini. Aprivamo uno sgabello da pic-nic sul quale piazzavamo una quarantottore che, una volta aperta, dava sfoggio della nostra mercanzia. Orecchini, collanine e braccialetti lavorati con fili d’argento e decorati con perline di vetro colorate di tutti i tipi, opache o trasparenti, brillavano in contrasto con il velluto nero luccicante con il quale era stato foderato l’interno della valigetta. Eravamo un trio ben assortito e affiatato. Ci univa il fine ultimo di quella piccola attività. I guadagni, infatti, servivano per pagare le vacanze estive. Tutte e tre desideravamo essere autonome e non gravare sul portafogli dei genitori. Autofinanziarci le vacanze era stata un’idea talmente entusiasmante che fu messa subito in pratica.
Una domenica, però, qualcosa mise po’ di scompiglio al nostro entusiasmo.
Intravidi mio padre tra la processione lenta dei passanti diretta proprio verso di noi. Cercai rifugio in una bancarella più in là, seduta su un pouf di cuoio. Schermata da un grande budda di legno e mobiletti indiani, osservai in silenzio attraverso i pertugi di quella trincea e sotto i sorrisi dei miei colleghi adulti e complici.
Era arrivato fin lì, nel cuore del mercato, sorvolando i primi banchi, di questo ero sicura. Non gli interessavano le camicie americane usate, i giocattoli d’epoca, le vecchie camicie da notte in pizzo bianco, i 45 giri di Gabriella Ferri, di Claudio Baglioni o dei Bee Gees, né tanto meno le ciambelle fritte o i croccantini di nocciole o di mandorle. Voleva venire a Porta Portese con una meta precisa, spinto dalla passione per le tracce del passato. Oggetti che raccolgono storie di persone sconosciute e che conservano la memoria di chi non può più raccontarla. Cercava, in particolare, cartoline e libri antichi, meglio se con dedica o anche solo scarabocchi. A volte, lo vedevo intento a fissare quelle vecchie scritte e mi accorgevo dell’emozione che brillava nei suoi occhi azzurri.
Per non tornare a casa a mani vuote, papà aveva camminato penando la calca senza un lamento, mi sembrava di vederlo. Si era spinto fino a metà mercato, e lì, proprio lì, si fermò colpito da una piccola bancarella, la nostra.
Cominciai a temere di essere scoperta e mi rannicchiai ancora di più, sotto i sorrisi trasformati in rapide risate, sempre dei miei colleghi adulti e complici.
Conosco mio padre. Si era incuriosito e al contempo intenerito per quelle che ignorava fossero le mie compagne di scuola. Pur essendo un tipo posato e rigoroso in famiglia, sapeva essere amabile e generoso nelle relazioni sociali. Lo vidi interessarsi alla mercanzia della nostra minuscola bancarella. Ebbi paura che potesse riconoscere la sua vecchia quarantottore. E invece no, dimostrava interesse a quei semplici e colorati gioielli e ne acquistò un paio, sicuramente per aiutare le ragazze. Venne da ridere anche a me e mi tappai la bocca con entrambe le mani, mentre in testa mi arrivavano le sue riflessioni: Non avranno soldi per comprare i libri. Che genitori sciagurati. Lasciare per strada le figlie per soldi. Piuttosto, io mangerei pane e cipolla. Mia figlia, per fortuna, non fa queste cose.
Non avrei mai potuto dire a mio padre che volevo la mia indipendenza economica. Non lo avrebbe mai accettato.

Riemergo dai ricordi.
La via appare immensa, non più accogliente e rassicurante anche nel caos.
Gli operatori puliscono, tolgono dalla strada ogni traccia di Porta Portese, ma non dai miei ricordi.

perline

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