Sono appena tornata da PLPL e decido di non aver voglia di cucinare. Ho il tutore al braccio e questa è un’ottima scusa per dire a me stessa che se voglio nutrirmi devo stare a ricasco degli altri. Entro nella solita trattoria sotto casa, dove si può mangiare pasta gluten free. Stranamente è vuota e io inizio a sfogliare i libri che ho appena acquistato alla fiera.
Entrano tre donne che occupano il tavolo vicino al mio. Finita la pacchia. Sono distinte e chiaramente amiche da tempo. Una rimpatriata, penso. No, non sono impicciona, ma attenta sì. Lo sapete che chi scrive ha l’orecchio sempre teso, no? Dunque, dicevo, le tre iniziano a parlare di cose tranquille: il lavoro, il pupo che sta male, lo svezzamento, l’incazzatura con il collega, ma il loro interloquire con “cazzo” è molto ostentato e rimbomba nella sala vuota. Cazzo, dico io, non c’è un modo diverso per dare la giusta intonazione?
Arriva una carbonara fumante e a quelle volgarità gratuite non penso più, cazzo! Assaporo la pasta. Mhhhhh, slurp, gnam. Sono in grazia di dio, sembra una pasta vera, una libidine.
Entra un uomo. È goffo. È vistosamente in imbarazzo. Posso mangiare da solo?, chiede. Si mette seduto poco lontano da me e legge il menu appoggiandosi con le braccia sullo schienale della sedia che ancora non ha sfilato da sotto il tavolino. Bizzarro, penso. Poi si mette seduto senza togliersi il cappotto. Davanti a sé ha una bottiglia di acqua minerale che versa in continuazione in piccole quantità, sbattendola ogni volta sul tavolo. Ronfa. Ringhia. Rumoreggia. A questo punto, la mia attenzione lascia le tre donne dal linguaggio vivace e acuto per concentrarsi su di lui. Mastica in un modo che la sua eco potrebbe svegliare il bambino che dorme angelico al settimo piano. E sbatte la bottiglia di acqua, ancora. Non so cosa pensare. Certo, è un rozzo, è in imbarazzo perché non gli è mai capitato di mangiare da solo. O chissà cosa. Mi fissa. Abbasso lo sguardo ma sento i suoi occhi puntarmi. Continuo ad assaporare la carbonara che non merita di essere trascurata. Lui tira su con il naso, e in un certo senso anche con la gola, contemporaneamente. Avete presente, no? Poi prende il telefonino e registra un messaggio. Sei feccia, sei una schifosa, sparisci dalla mia vita, ho lasciato le chiavi BIPPP. E non voglio più sentirti, capitoooo? Eh, ma se mangi così, ci credo che questa magari si è fatta l’amante. Poi guarda in continuazione il cellulare. Nessun messaggio, così lo sbatte sul tavolo. Ogni rumore rimbomba nella sala semivuota, ma ce ne accorgiamo solo io e la proprietaria della trattoria con la quale scambio occhiate di complicità. Le tre tipe continuano a “cazz”eggiare, noncuranti. Ho finito la carbonara, mi portano uno zabaione fatto al momento. Mhhh che goduria. Il tipo invia un altro messaggio ed è difficile non ascoltarlo perché grida. E spero solo di trovare la forza di uscire dal buio della mia vita sprecata con te. E riattacca. Si scola il calice di vino quasi d’un fiato. Gli cadono le chiavi per terra. Si inchina e gli cade la sedia. Si alza per sollevare la sedia e gli cadono le posate. Sto sudando, vorrei aiutarlo ma non posso. È faticoso assistere a ciò che sta facendo. No, mi correggo, ora è faticoso anche assistere a ciò che sta provando. Rozzo o no, sta soffrendo, è in difficoltà e il mio iniziale divertimento sta scemando.
Il locale rimane semivuoto, stranamente. Siamo ancora io, le tre “cazz”one e lo sbandato.
E gli altri?
Ho capito: saranno tutti a interessarsi di letture a Più libri più liberi. Almeno spero!
ma quanto sei ottimista!
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Ho immaginato il tipo leggere un buon libro. Ho immaginato che le sue ansie e le sue inquietudini evaporassero tra le pagine. Ma niente, non era tipo da lettura.
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