
Il Natale mi ha sempre suscitato emozioni.
No, non è vero.
Me le suscitava da bambina, perché ero rapita dall’incantesimo dei riti, degli addobbi, del raduno con tutti i miei cugini.
Mi suscitava emozioni anche quando sono diventata madre, per tentare di far vivere a mia figlia la stessa magia che provavo io alla sua età.
Ora mi mette ansia, ansia per il traffico, per la corsa sfrenata ai regali, per le file, per i venite voi, no, venite voi che ho la nonna, e il cane, e i botti, e le paure, e dove parcheggio la macchina.
Nonostante ciò, il Natale è rimasto un bel gioco di lucine (che poi alcune le lascio tutto l’anno). Le luminarie mi ipnotizzano, i regali sotto l’albero mi euforizzano. Ogni Natale si ripete il nostro gioco. Protagoniste, le solite tre: mia figlia, mia sorella ed io. Ci piace scambiarci tanti regali, pacchettini, scatole cinesi, far finta che sia l’ultimo pacchetto e poi tirar fuori il pezzo più importante, quello tanto desiderato e mai promesso. La felicità. La felicità di preparare la pasta di mandorle e la insalata russa.
Ecco il mio Natale. Quello del passato e quello di oggi.
No, non è vero.
Oggi no. Oggi non è come gli altri. Non c’è gioco. Non lo abbiamo voluto, non aveva senso. Forse è questo il motivo per il quale da qualche giorno sto pensando al mio Natale di quando ero bambina.
Oggi ho fame di ricordi. Oggi ho voglia di quei giorni, e di quelle emozioni.
Da bambina, si andava a casa della zia già dal primo pomeriggio, perché gli adulti dovevano cucinare, mio padre preparava le frittelle di riso e latte e qualche altra diavoleria inventata al momento. A mia madre era affidato il compito di friggere i carciofi, i broccoli, la ricotta e il cervello, ma se c’era qualche volontario che si offriva al suo posto, non le dispiaceva abbandonare la cucina per dedicarsi ad altro. Le mie zie (erano tre sorelle) preparavano gli antipasti, gli spaghetti al tonno, o al tartufo dei poveri, e il secondo… Il secondo non me lo ricordo affatto.
Durante il pomeriggio, i miei cugini e io ci chiudevamo in una stanza non bazzicata dagli adulti per poter creare le letterine ai papà e agli zii.
Con la colla Coccoina, quella che odorava di mandorle amare, e la porporina di tre quattro colori ci sbizzarrivamo nella nostra opera, fino a concluderla con una frase d’effetto per far commuovere il papà o lo zio di turno. Le letterine venivano infilate di nascosto sotto i piatti degli zii e papà e quando si mangiava noi bambini avevamo gli occhi puntati là, sul quel piatto che non veniva mai svuotato. Il gioco durava fino a quando questo elemento di disturbo tondo non veniva portato via. Gli zii più dispettosi, si voltavano a parlare e coprivano quel foglio colorato con il tovagliolo. A nulla serviva sospirare o trepidare o supplicare con gli sguardi, inconsapevoli ancora che gli adulti si divertivano un po’ alle nostre spalle. Insomma, ci facevano stare sulle spine.
I nostri occhi erano ancora tutti piantati là: sul piatto.
Succedeva poi che all’improvviso si accorgessero della letterina e che fingessero una “spontanea” sorpresa. Passavano così alla lettura uno alla volta. Naturalmente a voce alta. Seguiva poi un applauso generale e chi voleva poteva salire in piedi sulla sedia e recitare la poesia natalizia. Non era un obbligo ma facevano del tutto per farcelo sembrare tale.
Ecco perché non ricordo il secondo piatto.
Per noi bambini, la cena era finita con la letterina e il divertimento sarebbe poi proseguito con il Mercante in fiera tenuto da uno degli zii: una sola partita e due ore di divertimento e risate.
Sento ancora gli odori di quelle Feste, l’odore dei fritti, del muschio e della neve spray. Sento il sapore del panettone Paluani, l’unico che noi ragazzini volevamo perché regalava i 45 giri. A me una volta toccò Jesahel, dei Delirium, che mi aprì le porte alla conoscenza della musica pop.
Era una festa anche vivere la notte tutti insieme, malgrado lo sforzo di tenere aperti gli occhi e non cedere al sonno…
Ma…
Volevo solo darvi un augurio e invece ho srotolato ricordi.
Cosa vi devo dire? Vorrei una pioggia fitta di serenità su tutto il mondo. Vorrei augurare a chi è in ospedale o malato in casa di guarire nel più breve tempo possibile, vorrei alleviare l’animo a coloro che hanno perso un affetto senza averlo salutato, vorrei, vorrei…
E insomma mi sento un po’ così.
Comunque sia, buon Natale a voi e alle vostre famiglie.
Vostra Emma