Chiamatemi Ismaele. Alcuni anni fa – non importa quanti esattamente – avendo pochi o punti denari in tasca e nulla di particolare che m’interessasse a terra, pensai di darmi alla navigazione e vedere la parte acquea del mondo. È un modo che ho io di cacciare la malinconia e di regolare la circolazione. Ogni volta che m’accorgo di atteggiare le labbra al torvo, ogni volta che nell’anima mi scende come un novembre umido e piovigginoso, ogni volta che mi accorgo di fermarmi involontariamente dinanzi alle agenzie di pompe funebri e di andar dietro a tutti i funerali che incontro, e specialmente ogni volta che il malumore si fa tanto forte in me che mi occorre un robusto principio morale per impedirmi di scendere risoluto in istrada e gettare metodicamente per terra il cappello alla gente, allora decido che è tempo di mettermi in mare al più presto.
Herman Melville, “Moby Dick”
Quando siamo di fronte al mistero della vita, in balia delle più tormentate riflessioni sull’esistenza, quando ci sentiamo in disarmonia pur consapevoli della nostra appartenenza nell’infinito universo, sale il bisogno di urlare il nostro silenzio e cerchiamo una sponda che ci appaghi, ci tranquillizzi. E la malinconia può realizzarsi in uno stato intimo rasserenante, come un caldo e grande utero salvifico, dove poter navigare con i nostri pensieri… Che ci capisca il mare e il vento, ci basterà!
José María Pérez Nuñez/Flickr